domenica 3 gennaio 2016

MI RACCONTA UN RACCONTO

















ANEMIA

La silhouette di Sara si stagliava sulla soglia del capannone. Oscillò, prima di sparire all’interno.
Nell’aria capricciosa indugiava il profumo del suo calore, un’onda di desiderio che assomigliava all’ala di un martin pescatore infitta su punta aguzza di scoglio. Sul giaietto palpitava, in un biancore derisorio, il satin morbido del baby doll.
Nora soffiò come una gatta col mal di luna.
Raoul avrebbe poggiato le mani affusolate sopra le spalle di sua sorella, l’avrebbe fissata nelle pupille come inebriandola d’una antica canzone, e le labbra, inevitabilmente attirate dalla vita, si sarebbero adagiate, a larga foglia, laddòve, sotto la pelle, piú irresistibile brilla e chiama il sangue.
Perché la preferisce a me?
Forse perché è ancora viva…bofonchiò la civetta e risero ad ago tutte le foglie nel giardino.
Ecate, invocò. Dea cagna, fammi piú neri i denti, ricurve le unghie, e rapida sia la terra sotto i duri calcagni.
Il suo cuore era fermo. Il respiro, spezzato.
La luna le ammiccò, irrughita di verde, alta nel suo angolo di cielo.
Sara, sibilò. Sara. Io torno io torno io torno. Sei felice, per me?
Lei sta perdendo i sensi. Le dita meticolose di Raoul le frugano la vulva. Il palmo grande della mano schiaccia i teneri seni, la ghianda eretta che ha ritratto a sé la diafana areola.
Erompe dalla gola azzurra di Nora uno sbocco di terriccio, omaggio del camposanto, mentre solleva la destra affilata come un gancio, contempla gli artigli stretti, grigi.
At hoste maligno libera nos, Domine.
Chi aveva intuíto, ed aspettato brandendo lo sciocco crocefisso e l’inutile paletto di frassino, è già stato tolto di mezzo.
At hoste maligno libera nos, Domine.
Imbelli individui! La loro morte definitiva induceva al piú misero disprezzo.
Nora aveva ricusato sdegnosamente di nutrirsi di padre Ennio e di Roberto, mentre la dottoressa Barbato si era data a una fuga precipitosa, inciampando e ansando per raggiungere la macchina e partire col motore in folle. L’aveva risparmiata, per il momento.
I cani avevano guaito dolorosamente, prima di arretrare, soggiogati, tremanti, col pene ruvido e rosso snudato per l’eccitazione dei suoi umori bestiali.
Pensando al pasto di tre notti prima, vibrò dalla rabbia e dalla fame.
Era entrata in punta di piedi nel sogno d’un ragazzo. Un adolescente ossuto e ben proporzionato, dai movimenti mobili e lupeschi: già circonciso, un minuscolo grappolo d’uva spina tatuato sull’avambraccio, un cerchietto d’oro a bucare la cartilagine del naso circasso. Egli aveva reagito con meraviglia, piuttosto che con terrore, alla piccola creatura dai capelli viola e i seni a pera, che con un sorriso tagliente gli si era accoccolata in grembo, guidando all’ingresso della vagina il punteruolo liscio e ferroso che gli inorgogliva il pube. S’era smarrito in un orgasmo che era durato fino all’alba infída. Gonfia della sua giovinezza, la gula aveva munto il capretto di tutta la linfa e si era dileguata traballando, assalita dal panico della luce, anelando all’umido ristoro cieco della tana.
Ma adesso la dominava l’odio, che quanto l’arsura le sfrigolava in petto. Sara. Maledetta.
Il libro dell’esistenza si scompaginò in una vampata di disordine. Jeans. Libro di yoga. Arancia e gelsomini sulle federe. Telefono squilla. Mamma, papà, bacetto. Clacson di Roberto. C3 verde. Corsa pazza al camping. Torneo di tennis. Risate. Docciaschiuma. Ristorante da Carletto. Progetti per luglio a Paestum. Pensieri erotici di Angelo su di lei. I suoi approcci timidissimi, timorosi. Con le dita le ha massaggiato la pianta del piede nudo. A passeggio con Tina per le boutiques. Rossetto. Ritmo latino. Coca. Cinema. Effusioni solitarie. Scarpine Gucci. Braccialetto di perle anni cinquanta. Chiar di luna. Sole. Crampi. Guancia a guancia. Beatles. Piangere. Sorridere. Profumata bandana. Ciclo. Orologino guasto. Chiromante legge magico incontro. Impallidisce. Non vuole compenso. Spallucce. Gelato ai frutti di bosco. Ancora fallimento a diritto privato. Angelo sparito. Ferito. Peccato. Scambi di sguardi con lo sconosciuto. Ammiratore segreto. Vestirsi da Rossella O’ Hara. Gattino impazzito. Canarini stecchiti. Presagio.
Sara. E maledetto Raoul. Niente di questo ha alcun senso per me.
Nora si sentiva onnipotente. Scartò le immagini di quel che piú non le apparteneva.
Non voglio che diventi come me. Devo restare…unica.
Voglio annientarla, decise, prendere da lei. Mangiarla. Quasi una specie di risarcimento. L’idea la divertí.
…Assapora sulle labbra spaccate il getto vivace e scarlatto schizzare dalla giugulare: intenso elisir, bollente ruggine acre. I rantoli di Sara. La collera feroce di Raoul (da temere: ma Nora sa che può tenerlo a bada!)…
Oh, Sara, ti consumo tutta. Non basterà tempo, sorella. Mi appesantirò di te come una troia ingorda, tutta sozza nel trogolo. Me ne andrò strisciando veloce, evitando d’un pelo la luce, l’orribile bruciore. Tutta in me, tutta in me, in fondo alla sacca lercia dello stomaco in necrosi. Per quest’imitazione di vita che si rinnova non appena il cielo è dominio di Ecate stigia.
“È impossibile!” – aveva proferito, severa, con labbro tremante, la dottoressa Barbato, sostenendo ferma lo sguardo dolente di padre Ennio – “Non credo, non posso arrendermi a queste…leggende.”
“Ma il polso è fermo, dottoressa. Lo sente anche lei.” – la voce angosciata di Maria Luisa, l’infermiera.
La gula vedeva, ascoltava, rigida, livida, immota.
Si sentiva quasi ossianica.
Era prossima al capanno: papà vi conduceva di nascosto le sue amanti, tipo quella top model austriaca…Helga? La madre, consapevole e rassegnata, non faceva altro che passare dallo Stilnox al Prozac al Paxil, paga del costante stato d’intontimento che la proteggeva dai cazzotti della realtà.
Sovreccitato, Raoul l’avrebbe intanto percepita troppo tardi. Aveva già iniziato il banchetto? Si cibava di lei, mentre la penetrava con irruenza ferina. Respingilo, sorella. Scostalo da te. Per un poco, sgualdrina. Lascia che partecipi anch’io al vostro festino.
Raoul, il corruttore. Il tentatore. Colui che si configge nella vita per depredarla. Il distruttore. L’agente del Caos. A modo suo, un pigmalione maligno. Solo adesso Nora poteva vederlo come in realtà era: uno scheletro di carbone altro un metro e novanta, dagli occhi bragiandi, privi di pupilla, il cranio oblungo, con superstiti ciocche grovigliose, due zanne rivestite di stillante bava, le dita ad arpione, palmate, collegate alla stessa membrana salmastra, da demone degli acquitrini, da affiliato dell’abissale dio non morto, Chtulhu di R’lyeh, nell’area della lontana Ponape, Micronesia.
Nora e Sara avevano soccorso, accolto in casa il bellissimo giovane ignudo, ferito di striscio al torace nel corso di un improbabile conflitto a fuoco notturno: uno scontro tra bande rivali? Il TG non diffondeva notizie. Da quando s’era accasciato davanti al portone, dopo aver scalato in quelle condizioni il cancello senza che sonasse l’allarme, e dopo aver percorso mezzo chilometro, senza che Gregory, Astrid, Nemo e Blasco, i mastini napoletani di guardia, abbaiassero e lo assalissero, loro due erano cadute in suo possesso, vittima della stessa, incontrastabile malía.
Ecco che s’erano lasciate convincere a non telefonare alla polizia, a ricoverarlo nella mansarda, studio inviolabile di Sara, seguace di Bruno Valls con promettenti risultati, fan di deviantART e della sua comunità di bizzarri artisti. Lí, profittando dell’assenza dei genitori in visita all’Expo di Milano e subito dopo in partenza per Osthoffen, gli avevano organizzato un confortevole giaciglio, scartando l’idea di coinvolgere l’amica dottoressa Barbato, troppo intransigente per assumersi tali complicità. Avevano ripiegato su Jonathan, un provetto infermiere con un debole per Sara. Jonathan aveva prestato, perplesso, le prime cure. Poi era sparito. Era stato loro impossibile rintracciarlo, ma intanto lo sconosciuto smemorato sperimentava una rapida, eccezionale ripresa. Raoul, ricordava il solo nome di battesimo. Raoul. “Vi sono immensamente grato”. Al bagliore del suo sorriso si erano liquefatte, ambedue.
La medesima notte, ESSO, la Cosa, o quel che era, l’aveva invocata, dilagando nella sua mente, premendo sui centri nervosi, irrompendo nel suo sonno disturbato.
Sono molto antico, Nora. Ho adoperato la clava. Ho amato Cleopatra e Teodora. Ho alimentato le dicerie che il Necronomicon fosse uno pseudobiblium e Abdul Alhazred il nome inventato d’un pazzo mai esistito. Appoggiato in questo dalla vostra Chiesa che ha tutto l’interesse a mantenere nascosta la verità. Sono stato alla corte del Magnifico. Ho percorso lo strazio nel ghetto di Varsavia. Ho presenziato alle nozze di Agnelli con Marella Caracciolo. Ho tentato Madre Teresa. Migliaia e migliaia di gole hanno riversato in me il loro nettare, innumerevoli bellezze sono state visitate…Colette…Gloria Swanson…Jacqueline e la Callas. A migliaia hanno conosciuto il mio ultimo bacio. Alcune ancora imperversano, trasmettono il morbo, alimentano la progenie, attendono il risveglio dell’Indescrivibile Sognante, compiacciono il Sommo Impronunciabile Signore. Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wagl fhtagn…
Avvinta da un viscido, poderoso tentacolo mentale, Nora aveva disciolto i lunghi capelli castani, e, attenta a non destare Sara, aveva imboccato i gradini della scala verso…l’inferno blu, seducente e salmastro: quel contagio depravato. L’effluvio di pesce marcio l’aveva accolta in un’estasi irrinunciabile. Darsi ad ESSO, alla Cosa, a Raoul (nel succedersi dei secoli, Fulco, Giliberto di Bretagna, Licio, Chacka) era stato quanto di piú totale avesse mai sperimentato con un vivente, un umano.
Tina, l’amica del cuore di Sara, s’era generosamente offerta per la trasfusione, quando Nora (“È in condizioni disperate, fatevi coraggio!” –aveva sentenziato la dottoressa Barbato ad Amelia e Aristide Cossato, i genitori attoniti), prima di entrare in coma, era stata trasportata d’urgenza in ospedale.
Al suo funerale Sara già portava un foulard intorno al collo. L’odore dell’acqua benedetta l’aveva fatta svenire: era stato scambiato per un malore. Prevedibile: le due sorelle erano legatissime. Ma in quell’occasione padre Ennio aveva avuto sentore dell’agghiacciante verità.
La Barbato guardava a lui con uno scetticismo che rasentava intolleranza e disprezzo. D’altronde, da tempo, egli s’era compromesso con la Curia, sostenendo le sue tesi sulle pratiche del vampirismo.
“Andiamo, padre! Non facciamo letteratura popolare. Non siamo nel film di Dreyer. Ci troviamo di fronte ad una leucemia di devastante virulenza e…velocità.” – l’aveva liquidato, secca, la dottoressa, ma egli non s’era offeso quanto avrebbe potuto. Aveva incassato la testa nelle spalle, senza replicare, abituato a reazioni del genere.
Deus, in adiutorum meum intende!, aveva implorato, mentre Nora gli spappolava la mano intorno al crocefisso, e con gli artigli gli squarciava il collo, tra le urla disperate di Antonella Barbato.
Non sei tu, Nora. Non puoi essere tu! Non può essere vero, nel 1995…!
Cosí aveva singhiozzato, annichilito, orripilato, Roberto, che avrebbe dovuto sposare entro l’anno. S’era divertita a castrarlo, a sfondargli la gabbia toracica, fino al povero cuore forsennato. Ma non se n’era nutrita.
E Tina, Tina era stata la prima a vederla, subito dopo la trasformazione. Nora, appollaiata sulla testiera del letto, le aveva beffardamente trasmesso la nenia di “Preghiera d’una vergine”. La volontà infetta di Nora le aveva imposto la soggiacenza, la totale sottomissione, l’anchilosi. Né la ragazza poteva opporre la minima difesa all’invasione psichica della gula. Nessuna barriera, del resto, sarebbe valsa. I medici, gli specialisti, avevano accennato a shock autistico. Chi amava quella ragazza altruista e impulsiva non sapeva darsi pace.















Ora Nora estrude dalle fauci una laida lingua melmosa. Gli occhi da nictalope scandagliano l’oscurità, bramosi di saggiare facoltà nuove. In definitiva è fiera di quella non esistenza. È orgogliosa di essere una creatura di Raoul, a sua volta emissario dell’immondo Dio delle cosmiche profondità ancestrali.
I cristiani parlano di Satana, di nucleo di fuoco, di inferno. I credenti dei Grandi Antichi non osano pronunciare il nome del possente, titanico abitatore di R’lyeh, la Città inabissata da ere immemori.
Ma la lotta ora è sua. Una partita da giocare tra di lei e il suo creatore. E tutto per una meschina passione tipica dei mortali. Gelosia. Eppure è così e Nora sa che giocherà fino in fondo. L’obbiettivo è la dissoluzione di uno dei due. Non si sente la piú debole. Non è lei la svantaggiata. Distruggerà il servo di Cthulhu e lo soppianterà presso il viscido, tentacolato dio superno.
Nulla le è ormai estraneo, della notte: gli ultrasuoni dei predatori di piccola e media taglia, le strategie degli insetti che prediligono il buio, le pulsazioni delle piante, i codici dell’incessabile lotta per la sopravvivenza.
Solo creature come Nora (e come Raoul) avevano oltrepassato la barriera della miserabile natura terrena. L’uomo di per sé era un guerrafondaio, avido di potere e illuso d’eterno; un ingannatore, un maestro di perfidia e un mostro di calcolo. Cannibalizzava la propria specie. Non migliore della genía degli Antichi, che chissà quale enigmatica, titanica forza aveva espunto dal loro universo, dislocato in prigioni cosmiche, ma non neutralizzato del tutto.
L’umanità meritava, senza attenuanti, di essere spazzata via. Di essere sostituita da una nuova specie, potenzialmente immortale, la loro, i vampiri. Ma i vampiri avrebbero accettato di essere pedine degli Dei primigenȋ di cui parlava il Necronomicon?
“Sei stata umana…forse ancora conservi una traccia di bene, di pietà, dentro di te…”- la dottoressa Barbato aveva cercato di blandirla, con sincerità.
Quella donna! Ti ho risparmiata già due volte, avrebbe voluto dirle, non sfidarmi ancora. Non puoi capire che in questa lotta il tuo dio e il tuo satana non c’entrano niente, che il Bene e il Male della vostra Chiesa vanno messi in discussione, ribaltati, smantellati, perché altre Entità agiscono da secoli, intervengono a manovrare gli uomini come pedine di ben diversi altàri e per ben differenti traguardi. Noi esseri umani, con le nostre patetiche divinità e i nostri ridicoli demoni, abbiamo usurpato il loro mondo, il loro universo. Ora ESSI reclamano che venga loro restituito. 
Ancora una volta Nora l’aveva lasciata andare, l’aveva lasciata ai suoi singhiozzi, accasciata in terra, spiazzata, eppure in qualche maniera inarresa, intemerata, indomita. Non perse tempo a chiedersi il perché. Aveva altro da fare, nemico ben piú temibile da affrontare.
Di colpo Sara non contava piú. E la Barbato, dopotutto, aveva avuto ragione. In lei persisteva una impronta d’umanità. Che non era sinonimo di virtú, e non conteneva nostalgia o rimpianti; ma affermazione di spietatezza, brama di potere, scalata ai vertici capovolti dell’orrore. Ella ardeva dall’urgenza di compiacere Cthulhu, l’Oscuro. Di conoscerlo, di esserne assorbita, di far parte di LUI. E Raoul diventava un ostacolo da abbattere. Chtulhu, ne era sicura, ordinava quella sfida, voleva saggiare le potenzialità della nuova recluta, celebrare un nuovo empio sacerdozio. Poi l’avrebbe assunta, forse, nel Tempio, giú nell’orrido marino.
Si drizzò in tutto il suo nuovo essere. Snudò zanne ed artigli, prossima allo scontro.
Ti sto aspettando, puttana. Il pensiero di Raoul si lasciò captare. In fondo, immagino che sarà divertente. Ti darò spago, finché non ne avrò noia.
Vedremo, controbatté la gula.
E si slanciò dentro il capanno.

                                                                                         ARMANDO SAVERIANO



Chtulhu - l'abissale dio non morto
























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