ANEMIA
La silhouette di Sara si
stagliava sulla soglia del capannone. Oscillò, prima di sparire all’interno.
Nell’aria capricciosa indugiava il profumo del suo calore, un’onda di desiderio
che assomigliava all’ala di un martin pescatore infitta su punta aguzza di
scoglio. Sul giaietto palpitava, in un biancore derisorio, il satin morbido del
baby doll.
Nora soffiò come una
gatta col mal di luna.
Raoul avrebbe poggiato le
mani affusolate sopra le spalle di sua sorella, l’avrebbe fissata nelle pupille
come inebriandola d’una antica canzone, e le labbra, inevitabilmente attirate
dalla vita, si sarebbero adagiate, a larga foglia, laddòve, sotto la pelle, piú
irresistibile brilla e chiama il sangue.
Perché
la preferisce a me?
Forse
perché è ancora viva…bofonchiò la civetta e risero ad ago tutte
le foglie nel giardino.
Ecate, invocò. Dea cagna, fammi piú neri i denti, ricurve le unghie, e rapida sia la
terra sotto i duri calcagni.
Il suo cuore era fermo. Il respiro, spezzato.
La luna le ammiccò,
irrughita di verde, alta nel suo angolo di cielo.
Sara,
sibilò. Sara. Io torno io torno io torno. Sei felice, per me?
Lei sta perdendo i sensi.
Le dita meticolose di Raoul le frugano la vulva. Il palmo grande della mano
schiaccia i teneri seni, la ghianda eretta che ha ritratto a sé la diafana
areola.
Erompe dalla gola azzurra
di Nora uno sbocco di terriccio, omaggio del camposanto, mentre solleva la
destra affilata come un gancio, contempla gli artigli stretti, grigi.
At
hoste maligno libera nos, Domine.
Chi aveva intuíto, ed
aspettato brandendo lo sciocco crocefisso e l’inutile paletto di frassino, è
già stato tolto di mezzo.
At
hoste maligno libera nos, Domine.
Imbelli individui! La
loro morte definitiva induceva al piú misero disprezzo.
Nora aveva ricusato
sdegnosamente di nutrirsi di padre Ennio e di Roberto, mentre la dottoressa
Barbato si era data a una fuga precipitosa, inciampando e ansando per
raggiungere la macchina e partire col motore in folle. L’aveva risparmiata, per
il momento.
I cani avevano guaito
dolorosamente, prima di arretrare, soggiogati, tremanti, col pene ruvido e
rosso snudato per l’eccitazione dei suoi umori bestiali.
Pensando al pasto di tre
notti prima, vibrò dalla rabbia e dalla fame.
Era entrata in punta di
piedi nel sogno d’un ragazzo. Un adolescente ossuto e ben proporzionato, dai
movimenti mobili e lupeschi: già circonciso, un minuscolo grappolo d’uva spina
tatuato sull’avambraccio, un cerchietto d’oro a bucare la cartilagine del naso
circasso. Egli aveva reagito con meraviglia, piuttosto che con terrore, alla
piccola creatura dai capelli viola e i seni a pera, che con un sorriso
tagliente gli si era accoccolata in grembo, guidando all’ingresso della vagina
il punteruolo liscio e ferroso che gli inorgogliva il pube. S’era smarrito in
un orgasmo che era durato fino all’alba infída. Gonfia della sua giovinezza, la
gula aveva munto il capretto di tutta la linfa e si era dileguata traballando,
assalita dal panico della luce, anelando all’umido ristoro cieco della tana.
Ma adesso la dominava
l’odio, che quanto l’arsura le sfrigolava in petto. Sara. Maledetta.
Il libro dell’esistenza
si scompaginò in una vampata di disordine. Jeans. Libro di yoga. Arancia e
gelsomini sulle federe. Telefono squilla. Mamma, papà, bacetto. Clacson di
Roberto. C3 verde. Corsa pazza al camping. Torneo di tennis. Risate.
Docciaschiuma. Ristorante da Carletto. Progetti per luglio a Paestum. Pensieri
erotici di Angelo su di lei. I suoi approcci timidissimi, timorosi. Con le dita
le ha massaggiato la pianta del piede nudo. A passeggio con Tina per le
boutiques. Rossetto. Ritmo latino. Coca. Cinema. Effusioni solitarie. Scarpine
Gucci. Braccialetto di perle anni cinquanta. Chiar di luna. Sole. Crampi.
Guancia a guancia. Beatles. Piangere. Sorridere. Profumata bandana. Ciclo.
Orologino guasto. Chiromante legge magico incontro. Impallidisce. Non vuole
compenso. Spallucce. Gelato ai frutti di bosco. Ancora fallimento a diritto
privato. Angelo sparito. Ferito. Peccato. Scambi di sguardi con lo sconosciuto.
Ammiratore segreto. Vestirsi da Rossella O’ Hara. Gattino impazzito. Canarini
stecchiti. Presagio.
Sara. E maledetto Raoul. Niente di questo ha alcun senso per me.
Nora si sentiva
onnipotente. Scartò le immagini di quel che piú non le apparteneva.
Non
voglio che diventi come me. Devo restare…unica.
Voglio
annientarla, decise, prendere da lei. Mangiarla. Quasi una specie di risarcimento. L’idea la divertí.
…Assapora sulle labbra
spaccate il getto vivace e scarlatto schizzare dalla giugulare: intenso elisir,
bollente ruggine acre. I rantoli di Sara. La collera feroce di Raoul (da
temere: ma Nora sa che può tenerlo a bada!)…
Oh,
Sara, ti consumo tutta. Non basterà tempo, sorella. Mi appesantirò di te come
una troia ingorda, tutta sozza nel trogolo. Me ne andrò strisciando veloce,
evitando d’un pelo la luce, l’orribile bruciore. Tutta in me, tutta in me, in
fondo alla sacca lercia dello stomaco in necrosi. Per quest’imitazione di vita
che si rinnova non appena il cielo è dominio di Ecate stigia.
“È impossibile!” – aveva
proferito, severa, con labbro tremante, la dottoressa Barbato, sostenendo ferma
lo sguardo dolente di padre Ennio – “Non credo, non posso arrendermi a
queste…leggende.”
“Ma il polso è fermo,
dottoressa. Lo sente anche lei.” – la voce angosciata di Maria Luisa,
l’infermiera.
La gula vedeva,
ascoltava, rigida, livida, immota.
Si sentiva quasi
ossianica.
Era prossima al capanno:
papà vi conduceva di nascosto le sue amanti, tipo quella top model
austriaca…Helga? La madre, consapevole e rassegnata, non faceva altro che
passare dallo Stilnox al Prozac al Paxil, paga del costante stato
d’intontimento che la proteggeva dai cazzotti della realtà.
Sovreccitato, Raoul
l’avrebbe intanto percepita troppo tardi. Aveva già iniziato il banchetto? Si
cibava di lei, mentre la penetrava con irruenza ferina. Respingilo, sorella. Scostalo da te. Per un poco, sgualdrina. Lascia
che partecipi anch’io al vostro festino.
Raoul, il corruttore. Il
tentatore. Colui che si configge nella vita per depredarla. Il distruttore.
L’agente del Caos. A modo suo, un pigmalione maligno. Solo adesso Nora poteva
vederlo come in realtà era: uno scheletro di carbone altro un metro e novanta,
dagli occhi bragiandi, privi di pupilla, il cranio oblungo, con superstiti
ciocche grovigliose, due zanne rivestite di stillante bava, le dita ad arpione,
palmate, collegate alla stessa membrana salmastra, da demone degli acquitrini,
da affiliato dell’abissale dio non morto, Chtulhu di R’lyeh, nell’area della
lontana Ponape, Micronesia.
Nora e Sara avevano
soccorso, accolto in casa il bellissimo giovane ignudo, ferito di striscio al
torace nel corso di un improbabile conflitto a fuoco notturno: uno scontro tra
bande rivali? Il TG non diffondeva notizie. Da quando s’era accasciato davanti
al portone, dopo aver scalato in quelle condizioni il cancello senza che
sonasse l’allarme, e dopo aver percorso mezzo chilometro, senza che Gregory,
Astrid, Nemo e Blasco, i mastini napoletani di guardia, abbaiassero e lo
assalissero, loro due erano cadute in suo possesso, vittima della stessa,
incontrastabile malía.
Ecco che s’erano lasciate
convincere a non telefonare alla polizia, a ricoverarlo nella mansarda, studio
inviolabile di Sara, seguace di Bruno Valls con promettenti risultati, fan di
deviantART e della sua comunità di bizzarri artisti. Lí, profittando
dell’assenza dei genitori in visita all’Expo di Milano e subito dopo in partenza
per Osthoffen, gli avevano organizzato un confortevole giaciglio, scartando
l’idea di coinvolgere l’amica dottoressa Barbato, troppo intransigente per
assumersi tali complicità. Avevano ripiegato su Jonathan, un provetto
infermiere con un debole per Sara. Jonathan aveva prestato, perplesso, le prime
cure. Poi era sparito. Era stato loro impossibile rintracciarlo, ma intanto lo
sconosciuto smemorato sperimentava una rapida, eccezionale ripresa. Raoul,
ricordava il solo nome di battesimo. Raoul. “Vi sono immensamente grato”. Al
bagliore del suo sorriso si erano liquefatte, ambedue.
La medesima notte, ESSO, la Cosa, o quel che era, l’aveva invocata, dilagando nella sua mente,
premendo sui centri nervosi, irrompendo nel suo sonno disturbato.
Sono
molto antico, Nora. Ho adoperato la clava. Ho amato Cleopatra e Teodora. Ho
alimentato le dicerie che il Necronomicon fosse uno pseudobiblium e Abdul
Alhazred il nome inventato d’un pazzo mai esistito. Appoggiato in questo dalla
vostra Chiesa che ha tutto l’interesse a mantenere nascosta la verità. Sono
stato alla corte del Magnifico. Ho percorso lo strazio nel ghetto di Varsavia.
Ho presenziato alle nozze di Agnelli con Marella Caracciolo. Ho tentato Madre
Teresa. Migliaia e migliaia di gole hanno riversato in me il loro nettare,
innumerevoli bellezze sono state visitate…Colette…Gloria Swanson…Jacqueline e
la Callas. A migliaia hanno conosciuto il mio ultimo bacio. Alcune ancora
imperversano, trasmettono il morbo, alimentano la progenie, attendono il risveglio
dell’Indescrivibile Sognante, compiacciono il Sommo Impronunciabile Signore.
Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wagl fhtagn…
Avvinta da un viscido,
poderoso tentacolo mentale, Nora aveva disciolto i lunghi capelli castani, e,
attenta a non destare Sara, aveva imboccato i gradini della scala
verso…l’inferno blu, seducente e salmastro: quel contagio depravato. L’effluvio
di pesce marcio l’aveva accolta in un’estasi irrinunciabile. Darsi ad ESSO, alla Cosa, a Raoul (nel succedersi dei secoli, Fulco, Giliberto di
Bretagna, Licio, Chacka) era stato quanto di piú totale avesse mai sperimentato
con un vivente, un umano.
Tina, l’amica del cuore
di Sara, s’era generosamente offerta per la trasfusione, quando Nora (“È in
condizioni disperate, fatevi coraggio!” –aveva sentenziato la dottoressa
Barbato ad Amelia e Aristide Cossato, i genitori attoniti), prima di entrare in
coma, era stata trasportata d’urgenza in ospedale.
Al suo funerale Sara già
portava un foulard intorno al collo. L’odore dell’acqua benedetta l’aveva fatta
svenire: era stato scambiato per un malore. Prevedibile: le due sorelle erano
legatissime. Ma in quell’occasione padre Ennio aveva avuto sentore
dell’agghiacciante verità.
La Barbato guardava a lui
con uno scetticismo che rasentava intolleranza e disprezzo. D’altronde, da
tempo, egli s’era compromesso con la Curia, sostenendo le sue tesi sulle
pratiche del vampirismo.
“Andiamo, padre! Non
facciamo letteratura popolare. Non siamo nel film di Dreyer. Ci troviamo di
fronte ad una leucemia di devastante virulenza e…velocità.” – l’aveva
liquidato, secca, la dottoressa, ma egli non s’era offeso quanto avrebbe
potuto. Aveva incassato la testa nelle spalle, senza replicare, abituato a
reazioni del genere.
Deus,
in adiutorum meum intende!, aveva implorato, mentre Nora gli
spappolava la mano intorno al crocefisso, e con gli artigli gli squarciava il
collo, tra le urla disperate di Antonella Barbato.
Non
sei tu, Nora. Non puoi essere tu! Non può essere vero, nel 1995…!
Cosí aveva singhiozzato,
annichilito, orripilato, Roberto, che avrebbe dovuto sposare entro l’anno.
S’era divertita a castrarlo, a sfondargli la gabbia toracica, fino al povero
cuore forsennato. Ma non se n’era nutrita.
E Tina, Tina era stata la
prima a vederla, subito dopo la trasformazione. Nora, appollaiata sulla
testiera del letto, le aveva beffardamente trasmesso la nenia di “Preghiera
d’una vergine”. La volontà infetta di Nora le aveva imposto la soggiacenza, la
totale sottomissione, l’anchilosi. Né la ragazza poteva opporre la minima
difesa all’invasione psichica della gula. Nessuna barriera, del resto, sarebbe
valsa. I medici, gli specialisti, avevano accennato a shock autistico. Chi
amava quella ragazza altruista e impulsiva non sapeva darsi pace.
Ora Nora estrude dalle
fauci una laida lingua melmosa. Gli occhi da nictalope scandagliano l’oscurità,
bramosi di saggiare facoltà nuove. In definitiva è fiera di quella non
esistenza. È orgogliosa di essere una creatura di Raoul, a sua volta emissario
dell’immondo Dio delle cosmiche profondità ancestrali.
I cristiani parlano di
Satana, di nucleo di fuoco, di inferno. I credenti dei Grandi Antichi non osano
pronunciare il nome del possente, titanico abitatore di R’lyeh, la Città
inabissata da ere immemori.
Ma la lotta ora è sua.
Una partita da giocare tra di lei e il suo creatore. E tutto per una meschina
passione tipica dei mortali. Gelosia. Eppure è così e Nora sa che giocherà fino
in fondo. L’obbiettivo è la dissoluzione di uno dei due. Non si sente la piú
debole. Non è lei la svantaggiata. Distruggerà il servo di Cthulhu e lo
soppianterà presso il viscido, tentacolato dio superno.
Nulla le è ormai
estraneo, della notte: gli ultrasuoni dei predatori di piccola e media taglia,
le strategie degli insetti che prediligono il buio, le pulsazioni delle piante,
i codici dell’incessabile lotta per la sopravvivenza.
Solo creature come Nora
(e come Raoul) avevano oltrepassato la barriera della miserabile natura
terrena. L’uomo di per sé era un guerrafondaio, avido di potere e illuso
d’eterno; un ingannatore, un maestro di perfidia e un mostro di calcolo.
Cannibalizzava la propria specie. Non migliore della genía degli Antichi, che
chissà quale enigmatica, titanica forza aveva espunto dal loro universo,
dislocato in prigioni cosmiche, ma non neutralizzato del tutto.
L’umanità meritava, senza
attenuanti, di essere spazzata via. Di essere sostituita da una nuova specie,
potenzialmente immortale, la loro, i vampiri. Ma i vampiri avrebbero accettato
di essere pedine degli Dei primigenȋ di cui parlava il Necronomicon?
“Sei stata umana…forse
ancora conservi una traccia di bene, di pietà, dentro di te…”- la dottoressa
Barbato aveva cercato di blandirla, con sincerità.
Quella donna! Ti ho risparmiata già due volte, avrebbe
voluto dirle, non sfidarmi ancora. Non puoi capire che in questa lotta il tuo
dio e il tuo satana non c’entrano niente, che il Bene e il Male della vostra
Chiesa vanno messi in discussione, ribaltati, smantellati, perché altre Entità
agiscono da secoli, intervengono a manovrare gli uomini come pedine di ben
diversi altàri e per ben differenti traguardi. Noi esseri umani, con le nostre
patetiche divinità e i nostri ridicoli demoni, abbiamo usurpato il loro mondo,
il loro universo. Ora ESSI reclamano che venga loro restituito.
Ancora una volta Nora
l’aveva lasciata andare, l’aveva lasciata ai suoi singhiozzi, accasciata in
terra, spiazzata, eppure in qualche maniera inarresa, intemerata, indomita. Non
perse tempo a chiedersi il perché. Aveva altro da fare, nemico ben piú temibile
da affrontare.
Di colpo Sara non contava
piú. E la Barbato, dopotutto, aveva avuto ragione. In lei persisteva una
impronta d’umanità. Che non era sinonimo di virtú, e non conteneva nostalgia o
rimpianti; ma affermazione di spietatezza, brama di potere, scalata ai vertici
capovolti dell’orrore. Ella ardeva dall’urgenza di compiacere Cthulhu, l’Oscuro.
Di conoscerlo, di esserne assorbita, di far parte di LUI. E Raoul diventava un
ostacolo da abbattere. Chtulhu, ne era sicura, ordinava quella sfida, voleva
saggiare le potenzialità della nuova recluta, celebrare un nuovo empio
sacerdozio. Poi l’avrebbe assunta, forse, nel Tempio, giú nell’orrido marino.
Si drizzò in tutto il suo
nuovo essere. Snudò zanne ed artigli, prossima allo scontro.
Ti
sto aspettando, puttana. Il pensiero di Raoul si lasciò
captare. In fondo, immagino che sarà
divertente. Ti darò spago, finché non ne avrò noia.
Vedremo,
controbatté la gula.
E si slanciò dentro il
capanno.
ARMANDO
SAVERIANO
Nell’aria capricciosa indugiava il profumo del suo calore, un’onda di desiderio che assomigliava all’ala di un martin pescatore infitta su punta aguzza di scoglio. Sul giaietto palpitava, in un biancore derisorio, il satin morbido del baby doll.
Ecate, invocò. Dea cagna, fammi piú neri i denti, ricurve le unghie, e rapida sia la terra sotto i duri calcagni.
Il suo cuore era fermo. Il respiro, spezzato.
Chtulhu - l'abissale dio non morto |
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