UN RAGAZZO ALL'ANTICA
Il
comico, essendo l’intuizione dell’assurdo,
mi sembra piú disperante che il tragico.
E. Ionesco
mi sembra piú disperante che il tragico.
E. Ionesco
Mi
sembra certo che lo sbocco normale per l’
erotismo è l’assassinio.
Julien Green
erotismo è l’assassinio.
Julien Green
Madame
Levardet: “Allora non ci sono donne oneste?”
De Ryons: “Ma sí! Piú di quelle che si crede,
meno di quelle che si dice.”
Dumas figlio
De Ryons: “Ma sí! Piú di quelle che si crede,
meno di quelle che si dice.”
Dumas figlio
Nonostante
l’impermeabile anonimo, il foulard stretto sui riccioli corvini e le scarpe
basse, Rosarita incappia l’occhio scrutatore, valutativo, dei maschi dai
quattordici ai settant’anni, e le non infrequenti espressioni – fra la
scontrosità e l’invidia – di parecchie donne.
Si
è rassegnata al repertorio colorito dei pappagalli, alle strombazzate di
clacson, ai languidi abboccamenti di maturi ganimedi, alle tattiche di
avvicinamento dei palpeggiatori da tram, alle gomitate che si scambiano i
ragazzotti col chiodo e il sorriso beota sui denti cavallini.
Fa
del suo meglio per ignorare le allusioni e le gentilezze appiccicose del
meccanico, del postino, del barman, del geometra presso cui lavora per
mantenersi a scienze delle comunicazioni, del vedovo a pianterreno dello
stabile in cui abita con madre, prozia e fratello scapolo, dell’odontoiatra con
gli occhi da pesce e le dita mollicce come intraprendenti lumache.
E
l’elenco potrebbe protrarsi all’infinito.
Persino
dalla ginecologa ha vissuto momenti d’imbarazzo: ma che scalogna! Proprio sotto
una specialista con quelle inclinazioni
lí doveva capitare?!?
Pensando
alla sua vita, Rosarita vede tutta una serie di facce accaldate, di braccia
tentacolari, di sorrisini sporchi, di ambigue o esplicite profferte, con voce
scivolosa, unta… Niente romanticismo.
Ma
tanti goffi o subdoli tentativi per ottenere quella certa cosa.
Scarso
e artificioso sentimento, promesse esagerate e febbrili a schermo d’una voglia
mangiona di sesso in quantità.
Rosarita
ha smesso di leggere i tascabili rosa, da quando anche nelle loro pagine è
subentrato l’erotismo eccessivo e di cattivo gusto.
Lei
non è una bacchettona, né una complessata: preferisce sognare una lunga,
delicata storia di casti approcci, di prove di sensibilità, di cauti programmi;
una storia dove l’emozione affettiva sia autentica, forte, e l’unione carnale,
coronamento legittimo dell’amore, avvenga soltanto alla fine, e non prima
dell’altare.
Le
amiche la compatiscono, sua madre si stizzisce.
Allora
Rosarita ha deciso di confidarsi con nessun altro se non col cuore di Gesú e
con il libriccino che costituisce una specie di ingenuo diario: nei suoi
foglietti raccoglie pensieri, sospiri, ricopia distici, annota impressioni,
rannicchia speranze.
Rosarita è
fondamentalmente ottimista.
Prima
o poi incontrerà il compagno che, sembra, nel mondo intorno a lei non c’è, e se
anche ci fosse, apparirebbe a tutti ridicolo, anacronistico. A tutti, meno che
a lei.
Per
lei sarebbe perfetto. Appassionato, ma gentiluomo. Un ragazzo d’altri tempi. Un
ragazzo all’antica.
Qualche
anno prima Rosarita credette d’aver trovato il partner ideale. Ciro. Bassino,
brunetto, carino. Con un’andatura a balzelloni, quasi si movesse su due molle.
Cugino d’una sua amica, maestra di danza.
Ciro
si presentava a lei con fiori eterei, versi orribili, ma tenerissimi, e un’aria
da sprovveduto.
La
conduceva in costiera con una decappottabile favolosi anni sessanta, le offriva
cenette in ristorantini a strapiombo sul panorama scintillante, la ascoltava in
perfetta adorazione, senza andare al di là del bacio o di un impacciatissimo,
superficiale petting. Al punto che Rosarita aveva messo in discussione la sua
avvenenza.
Possibile?
Aveva
provato timidamente a tastare, in uno dei sempre piú diradati intermezzi cheek to cheek col morigerato Ciro, l’area del fallo, senza incontrare altro
che le pieghe inappuntabili dei soffici pantaloni griffati Claude Montana.
Ogni dubbio cadde
allorché, per un caso fortuito, Rosarita sorprese l’irreprensibile, ritegnoso
fidanzato, concentratissimo nell’annuire, a bocca piena, con foga, in ginocchio
davanti all’aitante garzone del fruttivendolo, nella complice penombra del retrobottega.
Pianse
per tre giorni.
La
batosta le lasciò una mandorla amara nel petto.
Bèh,
adesso non ci pensa piú. Anzi, ha paura di
essere felice. Perché forse le preghiere, la perseveranza, la sua fiducia
nell’esistenza d’un ragazzo ammodo, sono state premiate. Un dono dell’anno
nuovo.
Lui
è speciale. Innanzitutto ha un doppio nome, Pietrantonio. Come il suo,
Rosarita.
È
un segno del destino.
Mille
piccole cose li uniscono. Tanti dettagli apparentemente banali.
Pietrantonio
non sopporeta le femmine arroganti e vampire, bombe a letto, ma rognose e
prevaricatrici fuori.
Lui
cerca una creatura intelligente, che all’occorrenza gli sappia tener testa,
senza abdicare ai requisiti tradizionali della dedizione e del garbo. Una
compagna generosa e lungimirante, di sani princípȋ. Vecchio stampo. Sul modello
di sua madre e di sua nonna. Amanti, mogli e mamme ineccepibili, premurose col
marito, attente ai figli, brave amministratrici di casa…e pervicaci quanto
basta da non sacrificare la carriera. Nonna e mamma di Pietrantonio sono state
biologa e procuratore legale.
Certo…scottata
dall’esperienza con Ciro, Rosarita ha preso in tempo, stavolta, le sue
precauzioni.
Nel
corso delle preliminari, circoscritte effusioni con Pietrantonio, ha lasciato
scivolare casualmente la mano sulla patta e…Acciderba! Altroché!
E
Rosarita ha apprezzato assai che Pietrantonio non le abbia afferrato il polso,
chiedendole tacitamente di soffermarsi in zona
pericolo.
Dopo
circa sei mesi di passeggiate, di visite ai musei, di spettacoli teatrali, di
allegre puntatine alle sagre gastronomiche, di conversazioni telefoniche, di
incantevoli picnic ai laghi, di scambi di regalini, di minute cortesie e di
sfavillanti slanci emotivi, di meticolose seppur garbate indagini per una
escursioncina nel reciproco passato, Rosarita ha confermato, in famiglia, la
novità di questa promettente liaison in
boccio. Tutti sono curiosi di conoscere l’identità della perla che avrebbe
espugnato la fortezza, tutti sono ansiosi di vedere il volto del lancillotto
che avrebbe disciolto la presupposta – e malignata – algidità dell’inarrivabile
valchiria.
Dal
canto suo, Pietrantonio stesso avverte l’esigenza di presentare alle zie
d’Altavilla – le uniche parenti – questa inconsueta fanciulla dotata di
rarissime qualità. Sicchè è stato fissato per quel tardo pomeriggio il primo
passo: Rosarita verrà presentata ufficialmente alle zie Filina e Mafalda, nel
palazzo padronale dei Frasca.
Di
buon’ora Rosarita sbriga le faccende domestiche, somministra sciroppi e pillole
alla mamma invalida, serve a letto il caffè allo sfaccendato Filippo e lo
yogurt coi croccantini a zia Eliana; per la spesa c’è la Conad, comoda, vicina.
Sergio,
il commesso piú sfrontato, perché è il piú bellino, finge di inciampare per
strofinarlesi contro. Ma pazienza! Rosarita aggiunge agli alimenti nel carrello
un pacchetto di frollini e due sacchetti di patatine Pai, che distribuisce,
assieme a qualche spicciolo, agli zingarelli all’uscita dal supermercato.
Alla
bancarella della fioraia acquista lumini e steariche, freschi garofani
impettiti per l’altarino dei nonni e del papà che non ha potuto conoscere,
quindi s’avvía per la sosta quotidiana presso Gesú Sacramentato.
Il
pomeriggio lo dedica alla cura della persona. Shampoo, bagnoschiuma, pedicure,
frizione con creme emollienti. Sceglie un vestitino con sottana svasata, color
panna. Nei capelli intreccia una fascia di seta della stessa tonalità. Scarpe,
trousse e soprabito sono blu marina. Unico gioiello, semplici orecchini di
corallo. Gli occhi viola e la mantella color lucente della pettinatura la
rendono irresistibile. Alla vanità, Rosarita ha concesso delle calze con la
cucitura, un tocco di classe. È bellissima. L’eleganza, sobria. Pietrantonio si
merita questa soddisfazione.
Pian
piano se ne è innamorata. A conquistarla sono stati la signorilità di lui, il
senso della misura, l’affidabilità e la sicurezza che irradia, il profilo
importante, un fisico che scatta e guizza sotto il blazer o il completo Armani,
lo sguardo aguzzo, sagace, disarcionante.
Rosarita
si congratula per il controllo mantenuto: l’attrazione fisica che il suo uomo
esercita su di lei le attorciglia il ventre. Pietrantonio è sempre stato
preciso quanto un cronometro circa i limiti di orario di Rosarita, ma ancora
una volta la ragazza preferisce essere autonoma: raggiunge fino a metà strada
il fidanzato, smonta dalla Uno e s’infila nella Corvette metallizzata di lui.
Il giovane abbozza un sorriso commosso ai deliziosi mazzolini di mammole che
lei ha fatto confezionare per le anziane zie altavillesi. Un bacio. Che seppure
a fil di labbra arroventa entrambi. Suo malgrado la ragazza accusa piú del
solito quel morso allo stomaco.
Palazzo
Frasca non è imponente come se l’era figurato dalle accurate descrizioni del
compagno, tuttavia la facciata aristocratica non manca d’impressionarla. Ha la
sensazione di essere trasportata in una favola: il castello, l’amore, il
principe, le buone fate attempate. Acciderba! Pietrantonio le ha spiegato che
il lato ovest è stato chiuso, temporaneamente, per essere riattato in quattro
appartamentini da fittare, mentre l’ala est comprende l’immenso salone, la
residenza delle zie, lo studio tecnico ed un ampio alloggio, regno privato del
giovane architetto. L’arredamento spazia dallo stile Luigi XIV al Provenzale,
include pezzi d’antiquariato assai quotati, ninnoli da collezionista, vetri di
Murano, di monsieur Gallé. Folti tappeti, arazzi, specchi vetusti incastonati
in cornici barocche d’oro zecchino, dipinti impressionisti in ciliegio smaltato.
L’ambiente
è caldo, confortevole, non mette affatto in soggezione. Rosarita viene
introdotta in un salotto dove il beige domina sul celeste e su spunti fucsia:
fiori di stoffa, piante liofilizzate e vive soffocano appena appena, e appena
appena fanno kitsch. La riproduzione della donna a cassetti di Dalí disturba e
inquieta Rosarita.
Accetta
con gratitudine il calice di cristallo col brachetto e brinda occhi negli occhi
col galante ospite. Gli argenti ammiccano all’opalescenza di lampade indirette,
di panciuti abat-jour d’atmosfera. Scorrono i minuti.
Delle
zie, manco l’ombra.
Pietrantonio
getta la maschera, prende tra pollice e indice il mento della ragazza, lo
solleva con dolcezza, sconfitto dal perplesso splendore viola, dal nasino
corrucciato.
“Perdonami, amore mio. Volevo che quest’occasione fosse completamente
nostra.”
Con un tuffo al cuore, Rosarita
ricorre a un tentativo estremo. Le sue gambe sono terracotta.
“Caro, sai come la penso. Finora è stato un rapporto meraviglioso.
Anch’io ti desidero, ma è bene aspettare…”
“Tesoro,
tesoro, io non ce la faccio, e neanche tu…”
“No…”
“Non
resisto, non resisto piú...”
“È
sbagliato! Non posso crederci…Tu…proprio tu…Il mio ragazzo ammodo…”
“Ti
prego…”
“Oh…”
“Mia
devi essere, mia…”
“Per
carità…”
In un sogno, leggera leggera, non
piú padrona della sua volontà, Rosarita s’abbandona: disillusa, tuttavia sempre
meno riluttante, con crescente – e colpevole – arrendevolezza.
Egli la solleva tra le braccia come
una sposa, la conduce in camera da letto, le sfila le calze, le bacia le
caviglie, perso nella cocente devozione alla carne.
Ed ella si schermisce
alla vista della ragguardevole prestanza di lui. Appena un lampo.
Sicché rovescia sulla schiena il
maschio, ne impugna la virilità, lo cavalca come una levigata amazzone di
Fidia, frusta il torace villoso, il collo, il volto con l’afra coltre della
chioma selvaggia.
Le ore hanno rincorso le ore. È
terribilmente tardi e Rosarita si preoccupa per le ansie della mamma, che ha già
fatto trillare un paio di volte il cellulare. S’è fatta una doccia svelta e s’è
rivestita col muso lungo, mentre Pietrantonio, soddisfatto e felice, indugia di
là, nel bagno contiguo, godendosi un ritemprante relax nella vasca déco dalle
zampette in ghisa e avorio.
“Sei
stata straordinaria, amore mio”
– gongola incredulo – “Voglio sposarti
subito, entro il mese prossimo…”
Con la trousse sotto il braccio,
scura in volto, Rosarita gli rivolge per l’ultima volta la parola, mentre
infila i guanti.
“E
tu sleale. Mi fidavo di te. E sbagliavo ancora.”
La giovane donna adocchia il rasoio
elettrico sulla mensoletta accanto al lavabo.
“Perché
voi maschi sapete essere solo dei porci, con noi ragazze?”
Infila la spina nella presa.
“Io
sono romantica…Voglio essere corteggiata, ed arrivare a quel giorno con l’abito
bianco, pura…”
Lascia cadere il rasoio ronzante
nell’acqua schiumosa.
Che peccato.
Ha dovuto punire anche questo ragazzo.
Però è stato, per Pietrantonio e
per tutti coloro che l’hanno preceduto –che come lui l’hanno vilmente ingannata
– il giusto castigo, approvato da Gesú Sacramentato.
Ma, chissà!, forse domani andrà
meglio. Forse domani incontrerà un ragazzo d’altri tempi, rispettoso, corretto.
Un ragazzo all’antica.
Rosarita è fondamentalmente
ottimista.
ARMANDO SAVERIANO
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